mercoledì 24 febbraio 2016

luciferoflegreo: Di recente Antonella Orefice e il  “Nuovo Monitore...

luciferoflegreo: Di recente Antonella Orefice e il  “Nuovo Monitore...: Di recente Antonella Orefice e il  “Nuovo Monitore napoletano” hanno riproposto online a puntate il bel libro della Orefice: “Procida 1799 ...
Di recente Antonella Orefice e il  “Nuovo Monitore napoletano” hanno riproposto online a puntate il bel libro della Orefice: “Procida 1799 – La rinascita degli eroi”, ambientato nella nostra isola flegrea. Mi permetto dunque di riproporre la recensione apparsa in “Vita Flegrea” il 13 novembre 2013 in quella che, nelle primitive intenzioni, doveva essere una rubrica fissa (“L’angolo della recensione”) in una pubblicazione online che avrebbe dovuto essere pubblicata con periodicità fissa

L’ANGOLO della RECENSIONE

PROCIDA 1799 – La rinascita degli eroi

             La “Repubblica Napoletana” del 1799 ebbe anche qui, in terra flegrea, a Procida in particolare, i suoi sostenitori e di conseguenza i suoi martiri, i primi in ordine cronologico, essendo state le nostre isole i primi lembi della, purtroppo effimera, repubblica ad essere rioccupati dai sostenitori dei Borbone, già scappati in Sicilia, e soprattutto dagli inglesi loro alleati e all’epoca detentori di quella che per secoli fu la più potente flotta da guerra del mondo.   Nel breve periodo repubblicano di Procida (nell’isola solo sessantaquattro giorni) è ambientato il racconto “Procida 1799 – La rinascita degli eroi” di Antonella Orefice (Arte Tipografica Editrice, Napoli, 2011). L’autrice è in realtà una storica, soprattutto del periodo della Repubblica del 1799 e penso la maggiore esperta di Eleonora de Fonseca Pimentel, tra i più famosi martiri della reazione borbonica e sanfedista. Spesso però è coi mezzi del racconto o del romanzo che si raggiungono i migliori risultati descrittivi di un’epoca.  Marx riteneva che Balzac avesse descritto l’ascesa della classe borghese in Francia, con la sua “Comédie humaine”, meglio di tanti saggi e Moravia annotò qualcosa di simile a proposito del romanzo di Conrad “Con gli occhi dell’occidente” in rapporto con gli ultimi decenni del regime zarista in Russia. Felice pertanto la scelta, da parte dell’autrice, di ricorrere alla forma del romanzo storico, ambientato in un’isola che conosce bene e in un periodo storico che conosce come pochi. È la storia dell’amore tra il notaio napoletano Bernardo Alberini (personaggio storico), commissario repubblicano a Procida, e una misteriosa Aurora. Ma attraverso la narrazione della loro breve storia rivivono personaggi storici procidani come Vincenzo Assante, medico, Giacinto Calise, semplice marinaio e soprattutto di Antonio Scialoja, colto sacerdote (quanti religiosi aderirono con convinzione alla Repubblica!), finiti poi impiccati sulla piazza di Santa Maria delle Grazie ove il patibolo era stato eretto sullo stesso posto ove i rivoluzionari avevano piantato l’ “albero della libertà”, come si usava in tutti i posti toccati dalla Rivoluzione Francese. Furono crudelmente giustiziati insieme a tanti altri il cui nome è scolpito su di una lapide nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, meritoriamente eretta, in occasione del bicentenario della gloriosa repubblica, dal Comune di Procida nel 1999.
La storia della Repubblica è stata ben descritta già dal grande Vincenzo Cuoco, uno dei protagonisti di queste vicende, con grande acume e senza acritici elogi. Per quei lettori che incolpevolmente, causa il decadimento degli studi e la distrazione odierna dei media, non conoscano del tutto la storia o le cui reminiscenze scolastiche siano un po’ arrugginite, tento di dare qui di seguito una brevissima sintesi. Le truppe della Francia rivoluzionaria erano giunte a Roma nel 1798. I Borbone di Napoli avevano stretto alleanza con l’Austria degli Asburgo (alla cui famiglia apparteneva la regina Carolina). Su richiesta di Ferdinando IV a Napoli viene il generale austriaco Mack che fu posto al comando dell’esercito borbonico. Le truppe del Reame invasero i territori romani con la non troppo recondita speranza ferdinandea di ampliare i confini del regno. Mack e i Borbone subirono però una pesante sconfitta. Il “re lazzarone” (e fellone) non trovò di meglio allora che scappare in Sicilia sotto la protezione della flotta inglese e portando via le casse dello stato (come fossero sue proprie) non prima di aver ordinato all’insignificante vicario che aveva lasciato a Napoli di distruggere la flotta per evitare che cadesse in mano ai francesi. A Napoli esisteva una corposa intellighenzia illuminista (l’illuminismo napoletano dei vari Genovesi, Filangieri etc. fu secondo, insieme a quello milanese dei Verri e dei Beccaria, solo a quello francese). Questi circoli culturali, fin dai primi anni ’90 del ‘700, influenzati dalla Rivoluzione francese, evolvevano su posizioni più decisamente rivoluzionarie anche a causa dell’involuzione in senso radicalmente reazionario della corte napoletana. L’avvento dei Borbone, infatti, in un primo momento significò la ritrovata indipendenza del reame dopo secoli di predominio straniero  (semplifichiamo per motivi di sintesi), ma, soprattutto, con il primo, Carlo (impropriamente ricordato come III) il regno si inserì sulla scia dei paesi toccati dal “dispotismo illuminato” di quello che fu detto il “’700 riformatore”. La successiva ascesa di Carlo III al trono di Spagna, inizialmente, non comportò involuzione nel governo del reame. Ferdinando (IV di Napoli e III di Sicilia e poi I delle due Sicilie), come è noto, non aveva avuto un’educazione da re. Il primogenito maschio di re Carlo (vi erano tra i figli di questo anche delle donne, morte in tenerissima età, perché la mortalità infantile era diffusa anche tra le famiglie regali, ma tra i Borbone vigeva la “legge salica” che escludeva le donne dal trono) Felipe, era demente e – pertanto – escluso dalla successione, Carlo Antonio, il secondo in linea di successione, divenne  erede al trono di Spagna  e, per i motivi casuali di cui sopra, Ferdinando fu catapultato sul trono. La madre, Maria Amalia di Sassonia, voleva far di lui un cardinale per cui fu destinato a una educazione religiosa e alle cure del reazionario principe di Sannicandro. Essendo però “re nasone” nella minore età, il regno era in realtà governato da quella che, sinteticamente, definiamo “reggenza” del Tanucci, altro grande illuminista e uomo di fiducia del riformatore Carlo III con cui era in stretto contatto. Anche il matrimonio con Maria Carolina d’Asburgo, appartenente ad una famiglia di sovrani illuminati (era figlia della grande Maria Teresa d’Austria e sorella del grande sovrano riformatore Giuseppe II) fu inizialmente non priva di vantaggi per il regno. Le cose cambiarono quando scoppiò la Rivoluzione Francese e, soprattutto, quando fu ghigliottinata Maria Antonietta, sorella della sovrana napoletana. La corte cambiò qui la sua politica in senso decisamente reazionario e represse e censurò con ogni mezzo tutte le nuove idee che già felicemente si stavano sviluppando nelle nostre terre. Le classi colte finirono dunque con lo staccarsi decisamente dalla dinastia e col guardare con sempre maggior speranza alla Francia repubblicana le cui truppe erano giunte fino a Roma.

Terminata questa (apparente) digressione, torniamo a dove eravamo rimasti e cioè a Ferdinando che, sconfitto in territorio romano dai francesi, scappa in Sicilia con la protezione degli inglesi, con la cassa e dopo aver distrutto la flotta. I napoletani illuminati (quasi tutta la classe colta), simbolicamente, prendono Castel S. Elmo prima ancora dell’arrivo dei francesi del generale Championnet. Viene quindi a Napoli, il 23 gennaio 1793, proclamata la “Repubblica napoletana” con un governo provvisorio di venti membri, appartenenti alla migliore intellettualità meridionale, e tra cui spicca tra gli altri il grande giurista Mario Pagano, autore del progetto di una avanzatissima Costituzione presentato ad aprile. La repubblica riesce, nei pochi mesi di governo, ad approvare l’abolizione dei fedecommessi e del maggiorascato e poi, solo nell’ultimo mese di vita e quindi, incolpevolmente, senza effetti pratici, l’eversione della feudalità. Perché  la Repubblica Napoletana non incontrò i favori del popolo e perché visse un tempo così effimero? Il regno, per cause secolari, era arretratissimo. A differenza di altri paesi europei, come per esempio la Francia, le condizioni economiche non avevano consentito la nascita di una corposa classe borghese (quelli che oggi chiameremmo ceti medi). In misura maggiore che altrove, dunque, la popolazione era divisa tra uno sterminato sottoproletariato e un’esigua minoranza di privilegiati. La stragrande maggioranza della popolazione era dunque, non certo per sua colpa, analfabeta e ignorante, in preda alle superstizioni; contadini vessati dai baroni nelle campagne, plebe abituata da secoli a vivere di espedienti nelle città e soprattutto a Napoli, terza città d’Europa per popolazione (e solo per questo). Dunque le masse erano facilmente manovrabili dalla Chiesa, soprattutto nelle campagne, o, come nelle città e a Napoli in particolare, pronta a vendersi solo a chi promettesse o fornisse effettivamente piccolissimi vantaggi personali. La ristrettissima classe che prese il potere nel 1799 proveniva in parte dalla classe dei privilegiati (quasi gli unici, coi preti, che potevano avere accesso agli studi) e non poteva essere  compresa dal popolo. Le casse dello stato erano vuote e il tempo a disposizione fu pochissimo perché producesse effetti tangibili per la popolazione. La Repubblica quindi, fatta da nobili idealisti, non poté conquistare le masse e, con la partita dei francesi, tornati nel nord Italia onde difendere la Francia stessa dall’ennesima offensiva della coalizione delle potenze reazionarie, rimase pressoché inerme di fronte alle masse superstiziose organizzate dal famigerato cardinale Ruffo ne “L’esercito di santa fede” onde il termine di “sanfedisti” e di fronte alla potente flotta britannica (a poco potendo l’ammiraglio repubblicano Caracciolo essendo stata la flotta fatta affondare dal Borbone). Fu Vincenzo Cuoco, che pure fu tra i protagonisti della esperienza repubblicana, a vedere, già in una lucida prospettiva storica, i limiti (non superabili in quella condizione storica data) di quella che fu una “rivoluzione passiva”, termine poi esteso all’intero processo risorgimentale. La storia è stata vista nella sua complessità dunque da subito, ben prima delle semplicistiche, astoriche e ingenue a rovescio, ricostruzioni aprofessionali degli imbrattacarte neoborbonici. Ma Napoli, come felicemente ebbe a notare il nostro grande Benedetto Croce, fu una “Napoli nobilissima”, perché i suoi martiri quali Eleonora Pimentel Fonseca, Pagano, Caracciolo e tutti gli altri, un’intera classe di intellettuali di primissimo ordine, combatterono e morirono, a seguito del tradimento di un re fellone (solo il primo di tanti altri) per abolire privilegi che erano anche della propria classe, puri e disinteressati come in nessun angolo d’Europa, Francia in primis, dove (giustamente) una classe in ascesa, la borghesia, contrapponeva i propri interessi a quelli vetusti della nobiltà, del clero e dei residui feudali. Ruffo aveva promesso a quelli che saranno considerati i primi martiri del nostro Risorgimento salva la vita, come è noto, ma la coppia regale non mantenne la sua promessa (solo il primo dei numerosi tradimenti di un sovrano cialtrone).

Quello che accadde in tutto lo stato meridionale e a Napoli, che spero di non aver mal sintetizzato sopra, si verificò “in nuce” e in anteprima a Procida, microcosmo di tutto quest’angolo di mondo. Fa parte della nostra storia flegrea che il bel libro di Antonella Orefice, che vi invitiamo, noi di “Vita Flegrea”, a leggere. Prima di terminare si vuole qui ricordare che uno dei martiri procidani del 1799 fu Antonio Scialoja, zio dell’omonimo Antonio Scialoja che fu deputato del collegio di Pozzuoli del governo costituzionale del 1848 e poi primo deputato flegreo nel parlamento dell’Italia unita nel 1861, già esule a Torino e poi ministro nel 1866 allorché introdusse in Italia il “corso forzoso” della Lira. Ma di questo parleremo più ampiamente in un altro prossimo articolo.


Procida 1799 – La rinascita degli eroi” di Antonella Orefice (Arte Tipografica Editrice, Napoli, 2011).