L’ANGOLO della CULTURA
STORIA FLEGREA (e non solo)
È quasi un luogo comune, nelle città
flegree, che la nostra terra non abbia partorito personaggi politici di rilievo
nazionale. Qualcuno forse ricorda che nacque a Pozzuoli Guglielmo Giannini,
fondatore prima del periodico intitolato
“L’Uomo Qualunque”e poi del partito politico famoso e famigerato del “Fronte
dell’Uomo Qualunque” (F.U.Q.), partito che ebbe un notevole successo
nell’Italia del primissimo dopoguerra (riuscì a far eleggere anche diversi
deputati all’Assemblea Costituente). Ma - a parte il fatto che non è da menar
gran vanto dell’aver dato i natali al padre di un movimento che, per la sua
tendenza a semplificare problemi complessi, diede origine al termine usato
dispregiativamente in politica di “qualunquista”
– Giannini nacque a Pozzuoli ma crebbe a Napoli. La memoria storica della
nostra gente, però, non va quasi mai più indietro di ciò che hanno visto e ci
hanno raccontato i nostri nonni, raggiunge cioè, al massimo, la grande Guerra
del 1915-18. Abbiamo invece avuto da queste parti uno dei protagonisti della
vita politica nazionale degli anni precedenti l’Unità e, soprattutto, dei primi
decenni di vita del nostro stato. Si tratta di Antonio Scialoja, procidano
(nacque soltanto, per motivi accidentali, a San Giovanni a Teduccio), deputato
eletto nel collegio uninominale di Pozzuoli alle elezioni del 1848, durante la
breve esperienza costituzionale del Regno delle due Sicilie del 1848 – 49, ma
soprattutto deputato per più legislature, sempre del collegio di Pozzuoli,
ministro dell’importantissimo dicastero delle finanze in un anno di cruciali
decisioni, anche in economia, quale fu il 1866 e fra i principali attori della
nostra vita politica dell’epoca.
Conobbi l’esistenza di questo
personaggio, illustre ma a me, all’epoca, sconosciuto, quando mi fu proposto
come argomento della tesi di laurea dal titolare della cattedra di Storia
Contemporanea della facoltà di Scienze Politiche, il compianto prof. Mendella.
Dovendo laurearmi piuttosto celermente, la tesi, nelle intenzioni mie e del
prof. Mendella, doveva essere solo un primo approccio a studi più approfonditi
sullo stesso Scialoja. I casi della vita mi allontanarono dal campo delle
ricerche storiche portandomi verso un mestiere in un campo del tutto diverso.
Giunto all’età della pensione ho pensato per un po’ di riprendere le mie
giovanili ricerche. Ho dovuto però arrendermi perché, non avvezzo agli studi
scientifici, mi sono imbattuto su di una
mole immensa di libri di Scialoja
(fu infatti il maggiore economista italiano degli anni 1850-70) e di libri su Scialoja (presso l’Università di
Siena vi è addirittura il fornitissimo “Archivio Scialoja”). Fuori della nostra
provincia dunque Scialoja è un personaggio ben noto agli esperti del ramo, per
cui ho tratto la conclusione che, anche “post mortem”, “nemo propheta in
patria”! Ho ripescato però una mia “comunicazione” inserita nel volume “La
Storia di Pozzuoli dalle origini all’età contemporanea” a cura del prof.
Antonio Alosco, profondo conoscitore della storia contemporanea della nostra
città e tra i pochi che trattano la stessa su basi scientifiche. Si tratta
degli “Atti del Convegno 3-4 maggio 1991” tenuti presso la “Biblioteca Civica
Puteolana” e organizzata dal Comune di Pozzuoli – Assessorato alla Cultura e
che – con pochissimi e marginali ritocchi – mi permetto di riproporvi.
LUCIO
D’ISANTO
Antonio Scialoja,
I° deputato del Collegio di Pozzuoli
Antonio Scialoja nacque il 31
luglio 1817 nell’allora piccolo comune di San Giovanni a Teduccio, presso
Napoli, da Aniello, che ivi era Ispettore di Pubblica Sicurezza, e da Raffaella
Madia. Il nome di Antonio gli fu dato in memoria di uno zio che era stato tra i
martiri della Repubblica Partenopea del 1799; la sua era infatti una famiglia
di tradizioni liberali. Originari della Spagna, gli Scialoja vennero in Italia
nella
prima metà del XVI secolo, all’epoca dei primi viceré. Imparentatisi con la
famiglia Scotti di Procida e, avendo ivi ereditato alcuni beni, vi si trasferirono.
La famiglia Scialoja fu resa illustre dal giureconsulto Angelo, principe del
foro napoletano, e da Antonio Maria, conosciuto per aver pubblicato, con un
cugino, un’opera “corografico - storica" su Miseno e su Cuma nonché
descrizioni sulla villa di Cicerone e sui Campi Flegrei. Di modeste possibilità
economiche, perché i beni della sua famiglia erano stati confiscati fin dalla
prima restaurazione borbonica del 1799, trascorse la sua giovinezza a Procida,
dove venne educato da uno zio che lo indirizzò agli studi umanistici. Si formò
soprattutto con la lettura degli illuministi napoletani del ‘700. L’autore che
maggiormente lo influenzò fu il Genovesi, le cui opere, come egli in seguito
avrà a dire, gli inculcarono l’amore per "l’economia sociale" (forse
con un po’ di esagerazione, lo storico del socialismo L. Bulferetti lo definì
“uno dei primi liberalsocialisti”, sia pure non nel senso della molto
successiva corrente di pensiero, dal nome analogo, del filosofo Guido Calogero
e dei fratelli Rosselli)[1]. Frutto
dei suoi studi economico-filosofici fu la sua opera giovanile, pubblicata nel
1840: “Principi di economia sociale esposti in ordine ideologico". L’opera
meravigliò il mondo scientifico, soprattutto tenendo conto che era stata scritta
da un giovane di soli ventitre anni, e taluno sospettò che dietro il nome
dell’autore si celasse qualche illustre scrittore. Quest’opera gli valse però
anche la diffidenza del governo borbonico che credeva, giustamente dal suo
punto di vista, che, come gli altri economisti, Scialoja si avvalesse delle
forme scientifiche e del tecnicismo economico per diffondere i principi
liberisti e liberali. Nel ’44, inviato per conto di talune case commerciali
napoletane in Francia ed in Inghilterra,
ebbe modo di conoscere e farsi conoscere
negli ambienti scientifici e liberali di oltralpe. Nel 1845, essendogli stato preferito Placido
De Luca al concorso per la Cattedra di Economia
Politica dell’Università di Napoli, emigrò in
Piemonte dove Cesare Alfieri, supremo magistrato della Riforma degli Studi, lo chiamò a ricoprire la stessa
cattedra nella Università di Torino[2]. Si dice che il Borbone, parlandone con il
Santangelo, Ministro dell’Interno, abbia
asserito che di avere tra i piedi un "pennarulo" (come “re bomba”
definiva gli intellettuali) di meno non c’era che da rallegrarsi[3]. Lo
Scialoja tornò a Napoli dopo i moti del ’48.
Concessa infatti la Costituzione dal riluttante Ferdinando II, dopo due
governi di transizione Serracapriola, si
formò il Gabinetto Troja, ben visto a Torino perché interpretato come un
decisivo evolversi del Regno delle due Sicilie
verso il liberalismo. Di questo governo Scialoja divenne Ministro
dell’Agricoltura e del Commercio, e come tutti i componenti di quel governo partecipò alle elezioni che si tennero
successivamente e risultò eletto nel Collegio
di Pozzuoli. Scialoja fu cosi tra coloro
che ebbero il difficile compito di fare da tramite tra un Parlamento piuttosto
avanzato ed il Sovrano che, con le Guardie
Militari e Sanfediste, non aspettava altro che il momento opportuno per sbarazzarsi della Costituzione.
Abrogata di fatto (formalmente solo
“sospesa”) nel ’49 la Costituzione, a seguito di un ennesimo tradimento della
dinastia borbonica, Scialoja venne arrestato il
26 Settembre dello stesso anno e tradotto nel carcere di Santa Maria
Apparente in Napoli. In un processo,
giustamente ritenuto scandaloso in Europa, furono sottoposti a giudizio con
l’accusa di lesa maestà, otto ex - ministri e 44 ex-deputati. Tra gli imputati
Silvio Spaventa venne condannato a morte e
Scialoja a nove anni di reclusione perchè accusato, tra l’altro, di aver
sollecitato il Dupont a persuadere il Re a sostituire, nella formula di
giuramento della Costituzione da parte di Ferdinando II (spergiuro come il suo
avo), alla parola "svolgere" quella di "modificare" lo Statuto
(in senso liberale)[4]. Il sovrano, sotto la pressione dell’opinione
pubblica internazionale, commutò la pena
di morte per Silvio Spaventa in ergastolo, e quella di nove anni di reclusione per Scialoja
nell’esilio perpetuo dal Regno, per cui questi fu liberato il 25 ottobre 1852
dopo tre anni di carcere. Scelta, per ovvi motivi, Torino come sede
dell’esilio, trovò ivi la cattedra di Economia Politica ormai occupata. Fu
Cavour, allora Ministro dell`Agricoltura del Piemonte e che lo stimava molto,
che gli venne in aiuto, nominandolo il 3 luglio 1853 “consultore legale" nell’Ufficio
“del Catasto di Piemonte". In questo periodo, oltre a collaborate con
Cavour nella Riforma Agraria, fu autore di vari testi di diritto e di economia
di grande importanza. Appoggiò strenuamente, come saggista e come collaboratore
de "ll Risorgimento” e de "Il Secolo XIX", le idee liberiste di
Cavour, e, divenuto questi Presidente del Consiglio, ebbe anche incarichi
diplomatici ufficiosi di notevole rilievo[5]. Soprattutto
scrisse un’opera fondamentale per comprendere come il Piemonte, in pochi anni, fosse
divenuto uno dei paesi con un’economia tra le più avanzate d’Europa mentre il
Regno delle due Sicilie, che Ferdinando II voleva estraniare dal mondo moderno
e “chiuso tra l’acqua santa (lo Stato Pontificio) e l’acqua salata” e dunque
restava tra i più arretrati: “Note e
confronti dei bilanci del Regno di Napoli e degli Stati Sardi". In questo
opuscolo previde con esattezza ciò che sarebbe avvenuto il giorno
dell’unificazione. Sostenute soltanto da un ferreo regime doganale che le
teneva al riparo da qualsiasi concorrenza, le industrie meridionali sarebbero
state spazzate via da quelle piemontesi che, grazie al regime competitivo
instaurato da Cavour, ed al libero scambio, fornivano prodotti migliori e più a
buon mercato. Poi, sempre in quest’opera, Scialoja metteva in risalto come il
bilancio delle due Sicilie fosse sì in attivo ma solo perché i governi
borbonici tendevano a tesaurizzare anziché investire mentre il Piemonte
cavouriano chiudeva in deficit perché investiva in ferrovie e ammodernamento
dell’agricoltura, cioè per arricchire il paese.
Scialoja fu poi Ministro delle Finanze nel periodo della Dittatura di Garibaldi
e, tornato questi a Caprera, fu confermato in tale incarico nel Consiglio di
luogotenenza presieduto da Luigi Carlo Farini. Proclamata l’Unita d’Italia fu
eletto deputato (le elezioni si tenevano allora con il sistema uninominale) nel
Collegio di Pozzuoli e fu pertanto il primo rappresentante della nostra città
nel parlamento dell’ Italia Unita. Fu, successivamente, nominato da Cavour, e,
dopo la morte di questi confermato dal Ricasoli, Segretario Generale del
Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio e con tale incarico concluse,
come capo della delegazione del governo italiano, il primo importante accordo commerciale
in campo internazionale dell’ltalia Unita, quell’ accordo con la Francia che
diede ai vini meridionali (soprattutto pugliesi) un’importantissimo sbocco commerciale
in Francia e che verrà abbandonato soltanto quando, dopo l’occupazione francese
della Tunisia, scoppierà tra Italia e Francia la cosiddetta “guerra delle
tariffe” negli anni ’80 dell’800. Collaboratore poi di Quintino Sella, l’uomo
della "economia fino all’osso", fu nominato da questi Presidente di
Sezione della Corte dei Conti. Ma fu quando, in una situazione economica
disastrosa, bisognava far fronte alle spese della III guerra d’Indipendenza, nel
1866, che Scialoja ebbe il suo incarico più importante. Formatosi allora il
Ministero La Marmora, la poltrona scottante del Ministero delle Finanze fu
rifiutata da Sella e da Minghetti e Scialoja che era, come si direbbe oggi, "un
tecnico" (era infatti con il Ferrara considerato il maggior economista
dell’epoca) fu catapultato al vertice del Ministero delle Finanze. A lui toccò,
quindi, l’impopolarissima, per le convinzioni dell’epoca tutte “laisser faire,
laisser passer”, decisione della introduzione del corso forzoso della lira,
decisione coraggiosa che permise all’Italia di affrontare e superare le spese
dell’Unità (guerra di Crimea e guerre di indipendenza oltre all’accollarsi dei
debiti di tutti gli stati preunitari) e quelle aggiuntive della nuova guerra con
l’Austria[6]. Vigeva
allora, sia nel mercato interno sia soprattutto per i pagamenti internazionali,
il “Gold Standard”, cioè tutta la massa monetaria cartacea doveva essere coperta
dall’oro depositato nelle banche autorizzate ad emettere moneta (all’epoca in
Italia ve ne era più di una). L’introduzione del “corso forzoso” (o, come si
diceva allora, “forzato”) della Lira, decisa appunto da Scialoja, svincolava la
moneta cartacea (che pertanto diveniva “banconota”) dalla parità aurea e
permetteva così di stampare moneta (è la soluzione cui oggi ricorrono molti
stati, per es. gli USA di Obama e il Giappone, per vivificare l’economia nei
periodi di crisi). L’Italia riuscì così a onorare i propri impegni verso i
fornitori e creditori interni e sul mercato internazionale mentre le
conseguenze inflattive, che sempre comporta l’incremento del circolante medio,
furono attenuate dall’esodo di valuta per l’acquisto di oro verso l’Australia e
la California ove erano stati scoperti ricchi giacimenti del prezioso metallo. Successivamente
Scialoja ebbe lunghe polemiche con il Ferrara, l’altro grande economista
dell’epoca. Egli era infatti capofila della scuola liberista, Ferrara di quella
protezionista che, poiché il protezionismo vigeva soprattutto negli imperi
centrali, venne definita sprezzantemente “Lombardo- Veneta"[7]. Successivamente,
già ormai ammalato, si recò in Egitto dove divenne, nel 1874, consigliere in
materia finanziaria del Khedivé d’Egitto, Ismail Pascià, che, impregnato di cultura
europea, tentò di riordinare in senso occidentale le finanze del suo Stato.
Aggravatosi lo stato di salute nel 1877, alla metà di Agosto, tornò a Procida dove
morì il 13 Ottobre. Più tardi, grazie alle pressioni del Comune di Procida e di
alcuni politici suoi amici (Alfieri,
Berti, Saracco, Boselli, Visconti Venosta, Luzzatti, Cambrai-Digny, Bonghi, Cosenz, Salandra ed
altri), gli fu elevato il monumento che
ancora oggi possiamo ammirare nell’isola di Procida[8].
[2] E.
Pessina, Antonio Scialoja, in “Il Pungolo”, Napoli 1897; R. Bonghi, Antonio
Scialoja, in “Ritratti e profili di contemporanei”, Firenze 1868
[3] C. De
Cesare, op. cit.
[4] M.
D’Ayala, Vita degli italiani benemeriti della libertà e della Patria, Torino
1883
[5] C. De Cesare,
op. cit.; A. Colombo, Emigrati napoletani a Torino, in “Rassegna storica del
Risorgimento” (Congresso Sociale di Napoli), 1922
[6] R.
Bonghi, Storia della finanza italiana dal 1864 al 1868, Firenze 1868
[7] L.
Bulferetti, Sul programma sociale della borghesia del Risorgimento. A.
Scialoja, Torino 1949
[8] C. De
Cesare, op. cit.
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