martedì 19 novembre 2013

L’ANGOLO della CULTURA
STORIA FLEGREA (e non solo)


È quasi un luogo comune, nelle città flegree, che la nostra terra non abbia partorito personaggi politici di rilievo nazionale. Qualcuno forse ricorda che nacque a Pozzuoli Guglielmo Giannini, fondatore prima del periodico  intitolato “L’Uomo Qualunque”e poi del partito politico famoso e famigerato del “Fronte dell’Uomo Qualunque” (F.U.Q.), partito che ebbe un notevole successo nell’Italia del primissimo dopoguerra (riuscì a far eleggere anche diversi deputati all’Assemblea Costituente). Ma - a parte il fatto che non è da menar gran vanto dell’aver dato i natali al padre di un movimento che, per la sua tendenza a semplificare problemi complessi,  diede origine al termine usato dispregiativamente in politica di “qualunquista” – Giannini nacque a Pozzuoli ma crebbe a Napoli. La memoria storica della nostra gente, però, non va quasi mai più indietro di ciò che hanno visto e ci hanno raccontato i nostri nonni, raggiunge cioè, al massimo, la grande Guerra del 1915-18. Abbiamo invece avuto da queste parti uno dei protagonisti della vita politica nazionale degli anni precedenti l’Unità e, soprattutto, dei primi decenni di vita del nostro stato. Si tratta di Antonio Scialoja, procidano (nacque soltanto, per motivi accidentali, a San Giovanni a Teduccio), deputato eletto nel collegio uninominale di Pozzuoli alle elezioni del 1848, durante la breve esperienza costituzionale del Regno delle due Sicilie del 1848 – 49, ma soprattutto deputato per più legislature, sempre del collegio di Pozzuoli, ministro dell’importantissimo dicastero delle finanze in un anno di cruciali decisioni, anche in economia, quale fu il 1866 e fra i principali attori della nostra vita politica dell’epoca.
Conobbi l’esistenza di questo personaggio, illustre ma a me, all’epoca, sconosciuto, quando mi fu proposto come argomento della tesi di laurea dal titolare della cattedra di Storia Contemporanea della facoltà di Scienze Politiche, il compianto prof. Mendella. Dovendo laurearmi piuttosto celermente, la tesi, nelle intenzioni mie e del prof. Mendella, doveva essere solo un primo approccio a studi più approfonditi sullo stesso Scialoja. I casi della vita mi allontanarono dal campo delle ricerche storiche portandomi verso un mestiere in un campo del tutto diverso. Giunto all’età della pensione ho pensato per un po’ di riprendere le mie giovanili ricerche. Ho dovuto però arrendermi perché, non avvezzo agli studi scientifici, mi sono imbattuto  su di una mole immensa di libri di Scialoja (fu infatti il maggiore economista italiano degli anni 1850-70) e di libri su Scialoja (presso l’Università di Siena vi è addirittura il fornitissimo “Archivio Scialoja”). Fuori della nostra provincia dunque Scialoja è un personaggio ben noto agli esperti del ramo, per cui ho tratto la conclusione che, anche “post mortem”, “nemo propheta in patria”! Ho ripescato però una mia “comunicazione” inserita nel volume “La Storia di Pozzuoli dalle origini all’età contemporanea” a cura del prof. Antonio Alosco, profondo conoscitore della storia contemporanea della nostra città e tra i pochi che trattano la stessa su basi scientifiche. Si tratta degli “Atti del Convegno 3-4 maggio 1991” tenuti presso la “Biblioteca Civica Puteolana” e organizzata dal Comune di Pozzuoli – Assessorato alla Cultura e che – con pochissimi e marginali ritocchi – mi permetto di riproporvi.



LUCIO D’ISANTO
Antonio Scialoja,
I° deputato del Collegio di Pozzuoli


             Antonio Scialoja nacque il 31 luglio 1817 nell’allora piccolo comune di San Giovanni a Teduccio, presso Napoli, da Aniello, che ivi era Ispettore di Pubblica Sicurezza, e da Raffaella Madia. Il nome di Antonio gli fu dato in memoria di uno zio che era stato tra i martiri della Repubblica Partenopea del 1799; la sua era infatti una famiglia di tradizioni liberali. Originari della Spagna, gli Scialoja vennero in Italia
nella prima metà del XVI secolo, all’epoca dei primi viceré. Imparentatisi con la famiglia Scotti di Procida e, avendo ivi ereditato alcuni beni, vi si trasferirono. La famiglia Scialoja fu resa illustre dal giureconsulto Angelo, principe del foro napoletano, e da Antonio Maria, conosciuto per aver pubblicato, con un cugino, un’opera “corografico - storica" su Miseno e su Cuma nonché descrizioni sulla villa di Cicerone e sui Campi Flegrei. Di modeste possibilità economiche, perché i beni della sua famiglia erano stati confiscati fin dalla prima restaurazione borbonica del 1799, trascorse la sua giovinezza a Procida, dove venne educato da uno zio che lo indirizzò agli studi umanistici. Si formò soprattutto con la lettura degli illuministi napoletani del ‘700. L’autore che maggiormente lo influenzò fu il Genovesi, le cui opere, come egli in seguito avrà a dire, gli inculcarono l’amore per "l’economia sociale" (forse con un po’ di esagerazione, lo storico del socialismo L. Bulferetti lo definì “uno dei primi liberalsocialisti”, sia pure non nel senso della molto successiva corrente di pensiero, dal nome analogo, del filosofo Guido Calogero e dei fratelli Rosselli)[1]. Frutto dei suoi studi economico-filosofici fu la sua opera giovanile, pubblicata nel 1840: “Principi di economia sociale esposti in ordine ideologico". L’opera meravigliò il mondo scientifico, soprattutto tenendo conto che era stata scritta da un giovane di soli ventitre anni, e taluno sospettò che dietro il nome dell’autore si celasse qualche illustre scrittore. Quest’opera gli valse però anche la diffidenza del governo borbonico che credeva, giustamente dal suo punto di vista, che, come gli altri economisti, Scialoja si avvalesse delle forme scientifiche e del tecnicismo economico per diffondere i principi liberisti e liberali. Nel ’44, inviato per conto di talune case commerciali napoletane  in Francia ed in Inghilterra, ebbe modo di conoscere e farsi conoscere  negli ambienti scientifici e liberali di oltralpe.  Nel 1845, essendogli stato preferito Placido De Luca al concorso per  la Cattedra di Economia Politica dell’Università di Napoli, emigrò in  Piemonte dove Cesare Alfieri, supremo magistrato della Riforma  degli Studi, lo chiamò a ricoprire la stessa cattedra nella Università di Torino[2].  Si dice che il Borbone, parlandone con il Santangelo,  Ministro dell’Interno, abbia asserito che di avere tra i piedi un "pennarulo" (come “re bomba” definiva gli intellettuali) di meno non c’era che da rallegrarsi[3]. Lo Scialoja tornò a Napoli dopo i moti del ’48.  Concessa infatti la Costituzione dal riluttante Ferdinando II, dopo due governi di transizione  Serracapriola, si formò il Gabinetto Troja, ben visto a Torino perché interpretato come un decisivo evolversi del Regno delle due Sicilie  verso il liberalismo. Di questo governo Scialoja divenne Ministro dell’Agricoltura e del Commercio, e come tutti i componenti di quel  governo partecipò alle elezioni che si tennero successivamente e risultò eletto  nel Collegio di Pozzuoli.  Scialoja fu cosi tra coloro che ebbero il difficile compito di fare da tramite tra un Parlamento piuttosto avanzato ed il Sovrano che, con  le Guardie Militari e Sanfediste, non aspettava altro che il momento  opportuno per sbarazzarsi della Costituzione.   Abrogata di fatto (formalmente solo “sospesa”) nel ’49 la Costituzione, a seguito di un ennesimo tradimento della dinastia borbonica, Scialoja venne arrestato il  26 Settembre dello stesso anno e tradotto nel carcere di Santa Maria Apparente in Napoli.    In un processo, giustamente ritenuto scandaloso in Europa, furono sottoposti a giudizio con l’accusa di lesa maestà, otto ex - ministri e 44 ex-deputati. Tra gli imputati Silvio Spaventa venne condannato a morte e  Scialoja a nove anni di reclusione perchè accusato, tra l’altro, di aver sollecitato il Dupont a persuadere il Re a sostituire, nella formula di giuramento della Costituzione da parte di Ferdinando II (spergiuro come il suo avo), alla parola "svolgere" quella di "modificare" lo Statuto (in senso liberale)[4].  Il sovrano, sotto la pressione dell’opinione pubblica internazionale,  commutò la pena di morte per Silvio Spaventa in ergastolo, e quella di  nove anni di reclusione per Scialoja nell’esilio perpetuo dal Regno, per cui questi fu liberato il 25 ottobre 1852 dopo tre anni di carcere. Scelta, per ovvi motivi, Torino come sede dell’esilio, trovò ivi la cattedra di Economia Politica ormai occupata. Fu Cavour, allora Ministro dell`Agricoltura del Piemonte e che lo stimava molto, che gli venne in aiuto, nominandolo il 3 luglio 1853 “consultore legale" nell’Ufficio “del Catasto di Piemonte". In questo periodo, oltre a collaborate con Cavour nella Riforma Agraria, fu autore di vari testi di diritto e di economia di grande importanza. Appoggiò strenuamente, come saggista e come collaboratore de "ll Risorgimento” e de "Il Secolo XIX", le idee liberiste di Cavour, e, divenuto questi Presidente del Consiglio, ebbe anche incarichi diplomatici ufficiosi di notevole rilievo[5]. Soprattutto scrisse un’opera fondamentale per comprendere come il Piemonte, in pochi anni, fosse divenuto uno dei paesi con un’economia tra le più avanzate d’Europa mentre il Regno delle due Sicilie, che Ferdinando II voleva estraniare dal mondo moderno e “chiuso tra l’acqua santa (lo Stato Pontificio) e l’acqua salata” e dunque restava tra i più arretrati: “Note  e confronti dei bilanci del Regno di Napoli e degli Stati Sardi". In questo opuscolo previde con esattezza ciò che sarebbe avvenuto il giorno dell’unificazione. Sostenute soltanto da un ferreo regime doganale che le teneva al riparo da qualsiasi concorrenza, le industrie meridionali sarebbero state spazzate via da quelle piemontesi che, grazie al regime competitivo instaurato da Cavour, ed al libero scambio, fornivano prodotti migliori e più a buon mercato. Poi, sempre in quest’opera, Scialoja metteva in risalto come il bilancio delle due Sicilie fosse sì in attivo ma solo perché i governi borbonici tendevano a tesaurizzare anziché investire mentre il Piemonte cavouriano chiudeva in deficit perché investiva in ferrovie e ammodernamento dell’agricoltura, cioè per arricchire il paese.  Scialoja fu poi Ministro delle Finanze nel periodo della Dittatura di Garibaldi e, tornato questi a Caprera, fu confermato in tale incarico nel Consiglio di luogotenenza presieduto da Luigi Carlo Farini. Proclamata l’Unita d’Italia fu eletto deputato (le elezioni si tenevano allora con il sistema uninominale) nel Collegio di Pozzuoli e fu pertanto il primo rappresentante della nostra città nel parlamento dell’ Italia Unita. Fu, successivamente, nominato da Cavour, e, dopo la morte di questi confermato dal Ricasoli, Segretario Generale del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio e con tale incarico concluse, come capo della delegazione del governo italiano, il primo importante accordo commerciale in campo internazionale dell’ltalia Unita, quell’ accordo con la Francia che diede ai vini meridionali (soprattutto pugliesi) un’importantissimo sbocco commerciale in Francia e che verrà abbandonato soltanto quando, dopo l’occupazione francese della Tunisia, scoppierà tra Italia e Francia la cosiddetta “guerra delle tariffe” negli anni ’80 dell’800. Collaboratore poi di Quintino Sella, l’uomo della "economia fino all’osso", fu nominato da questi Presidente di Sezione della Corte dei Conti. Ma fu quando, in una situazione economica disastrosa, bisognava far fronte alle spese della III guerra d’Indipendenza, nel 1866, che Scialoja ebbe il suo incarico più importante. Formatosi allora il Ministero La Marmora, la poltrona scottante del Ministero delle Finanze fu rifiutata da Sella e da Minghetti e Scialoja che era, come si direbbe oggi, "un tecnico" (era infatti con il Ferrara considerato il maggior economista dell’epoca) fu catapultato al vertice del Ministero delle Finanze. A lui toccò, quindi, l’impopolarissima, per le convinzioni dell’epoca tutte “laisser faire, laisser passer”, decisione della introduzione del corso forzoso della lira, decisione coraggiosa che permise all’Italia di affrontare e superare le spese dell’Unità (guerra di Crimea e guerre di indipendenza oltre all’accollarsi dei debiti di tutti gli stati preunitari) e quelle aggiuntive della nuova guerra con l’Austria[6]. Vigeva allora, sia nel mercato interno sia soprattutto per i pagamenti internazionali, il “Gold Standard”, cioè tutta la massa monetaria cartacea doveva essere coperta dall’oro depositato nelle banche autorizzate ad emettere moneta (all’epoca in Italia ve ne era più di una). L’introduzione del “corso forzoso” (o, come si diceva allora, “forzato”) della Lira, decisa appunto da Scialoja, svincolava la moneta cartacea (che pertanto diveniva “banconota”) dalla parità aurea e permetteva così di stampare moneta (è la soluzione cui oggi ricorrono molti stati, per es. gli USA di Obama e il Giappone, per vivificare l’economia nei periodi di crisi). L’Italia riuscì così a onorare i propri impegni verso i fornitori e creditori interni e sul mercato internazionale mentre le conseguenze inflattive, che sempre comporta l’incremento del circolante medio, furono attenuate dall’esodo di valuta per l’acquisto di oro verso l’Australia e la California ove erano stati scoperti ricchi giacimenti del prezioso metallo. Successivamente Scialoja ebbe lunghe polemiche con il Ferrara, l’altro grande economista dell’epoca. Egli era infatti capofila della scuola liberista, Ferrara di quella protezionista che, poiché il protezionismo vigeva soprattutto negli imperi centrali, venne definita sprezzantemente “Lombardo- Veneta"[7]. Successivamente, già ormai ammalato, si recò in Egitto dove divenne, nel 1874, consigliere in materia finanziaria del Khedivé d’Egitto,  Ismail Pascià, che, impregnato di cultura europea, tentò di riordinare in senso occidentale le finanze del suo Stato. Aggravatosi lo stato di salute nel 1877, alla metà di Agosto, tornò a Procida dove morì il 13 Ottobre. Più tardi, grazie alle pressioni del Comune di Procida e di alcuni politici suoi  amici (Alfieri, Berti, Saracco, Boselli, Visconti Venosta, Luzzatti,  Cambrai-Digny, Bonghi, Cosenz, Salandra ed altri), gli fu elevato il  monumento che ancora oggi possiamo ammirare nell’isola di Procida[8].






[1] C. DE Cesare, La Vita, i tempi e le opere di A. Scialoja, Roma 1879.
[2] E. Pessina, Antonio Scialoja, in “Il Pungolo”, Napoli 1897; R. Bonghi, Antonio Scialoja, in “Ritratti e profili di contemporanei”, Firenze 1868
[3] C. De Cesare, op. cit.
[4] M. D’Ayala, Vita degli italiani benemeriti della libertà e della Patria, Torino 1883
[5] C. De Cesare, op. cit.; A. Colombo, Emigrati napoletani a Torino, in “Rassegna storica del Risorgimento” (Congresso Sociale di Napoli), 1922
[6] R. Bonghi, Storia della finanza italiana dal 1864 al 1868, Firenze 1868
[7] L. Bulferetti, Sul programma sociale della borghesia del Risorgimento. A. Scialoja, Torino 1949
[8] C. De Cesare, op. cit.

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